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Equilibri solitari

  • Gilda Di Nardo
  • 17 gen 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

Condivido qui alcune riflessioni sulla solitudine, tematica che ho studiato a fondo ( vedi anche la pubblicazione "Silenzio e Solitudine: integrazione della quiete nel trattamento terapeutico" Giusti, Di Nardo, Sovera). Mi sono infatti imbattuta poco fa in un articolo che presentava la solitudine come motivo di allarme sociale, " si soffre sempre più di solitudine" e venivano citati i danni anche fisici che tale situazione può arrecare ( ad esempio diminuisce difese immunitarie secondo alcune ricerche). Vero è che viviamo giorni in cui, soprattutto nelle dimensioni metropolitane ( ma non solo) i rapporti sembrano sempre più sgretolarsi, diventare occasionali e sempre più le relazioni, complici i ritmi di lavoro, le distanze ecc. divengono faticose ma è pur vero che a mio modo di vedere le cose si tratta di una dimensione alienata di solitudine: mentre la società si ammala, con essa si ammalano le relazioni e le solitudini! Molto spesso mi imbatto in persone che temono la solitudine e pertanto non la sperimentano, la fuggono e vivono gli spazi solitari come inquietanti. Talvolta mi imbatto in persone così avvezze alla solitudine che faticano invece a stare nelle relazioni. Sia a livello individuale che collettivo mi viene pertanto da dire che i danni se mai provengono dalla mancanza di equilibrio tra relazione e solitudine e dalla qualità della solitudine che si vive. Ci sono persone sole (intendendo in tal senso una rete relazionale quasi nulla) che riescono a trovare la serenità e le risorse per un proprio equilibrio. Ci sono altre persone che indipendentemente dal numero di persone che conoscono e frequentano sprofondano nella propria disperata solitudine. La scoperta di sè e la serenità dipendono anche dai propri spazi solitari, dal viverli serenamente e non come un obbligo o un evitamento delle relazioni, imparare a viversi una sana solitudine può essere un'ottima premesse per migliorare anche le proprie relazioni. Se si vuol affermare che " ci si ammala di solitudine" è necessario secondo me prima riflettere su quanto si stiano ammalando le relazioni e quanta scarsa " educazione alla solitudine " esista, oltre che, ovviamente su quanto l'intero sistema politico e culturale si indirizzi verso una cultura di massificazione e sfruttamento degli individui piuttosto che di valorizzazione delle individualità anche a favore della collettività. Sia da un punto di vista individuale che sociale gli spazi sani di ritiro e cura di sè solitari sono importanti tanto quanto quelli di aggregazione ( e non di massificazione). Individualmente guardare alle possibilità ( di riposo, di svago, di benessere ) che la solitudine offre è più costruttivo che demonizzarla. Chiudo lasciando il posto al pensiero di un famoso cantautore che evidenzia poeticamente quanto ho cercato di esprimere fin ora:

"La solitudine (il silenzio, suo stretto parente, bisogna imparare ad ascoltarlo. Il silenzio non esiste) non esiste; nel senso che la solitudine non consiste nello stare soli, ma piuttosto nel non sapersi tenere compagnia. Chi non sa tenersi compagnia difficilmente la sa tenere ad altri. Ecco perché si può essere soli in mezzo a mille persone, ecco anche perché ci si può trovare in compagnia di se stessi ed essere felici (per esempio ascoltando il silenzio, stretto parente della solitudine). Ma il silenzio vero non esiste, come non esiste la vera solitudine. Basta abbandonarsi alle voci dell'Universo." (Fabrizio De Andrè)

 
 
 
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